In caso di decesso: Il danno morale terminale (o danno catastrofale)
In caso di decesso, una delle voci di danno non patrimoniale risarcibile è quella del danno morale terminale (o danno catastrofale).
L’espressione danno morale terminale (o danno catastrofale) indica l’intensa sofferenza interiore provata da colui che, avendo patito delle gravi lesioni fisiche a seguito di sinistro stradale o di errore medico, percepisce le conseguenze catastrofiche di queste ultime e si preconizza l’incombenza dell’inevitabile evento “morte”.
Il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno morale
La Corte di Cassazione (Cass. Civ. III Sez. sentenza n. 12722 del 19 giugno 2015), a proposito del danno catastrofale, ha formulato la seguente massima di diritto:
In caso di morte della vittima, la brevità del periodo di sopravvivenza alle lesioni, se esclude l’apprezzabilità ai fini risarcitori del deterioramento della qualità della vita in ragione del pregiudizio della salute, ostando alla configurabilità di un danno biologico risarcibile, non esclude viceversa che la medesima abbia potuto percepire le conseguenze catastrofiche delle lesioni subite e patire sofferenza, il diritto al cui risarcimento, sotto il profilo del danno morale, risulta pertanto già entrato a far parte del suo patrimonio al momento della morte, e può essere conseguentemente fatto valere “iure hereditatis“.
La condizione di lucidità e l’onere probatorio
Pertanto, la Suprema Corte riconosce e valorizza il diritto del soggetto -gravemente danneggiato a seguito di incidente stradale o errore medico e che decede a causa delle gravi lesioni patite- al risarcimento del danno morale rappresentato dall’intensa sofferenza provata per avere assistito, inerme, all’imminente spegnimento della propria vita.
Il riconoscimento del diritto ad essere risarcito del danno catastrofale patito però, precisa la Cassazione (in senso conforme: Cass. Civ. III Sez. n. 23183 del 2014, Cass. Civ. III Sez. n. 7126 del 2013), richiede il verificarsi di una precisa condizione: la vittima, nel lasso di tempo intercorso fra il sinistro e la morte, deve essersi mantenuta lucida. Solo così, infatti, avrà potuto provare quell’intensa sofferenza morale (concentrata sì in un breve lasso di tempo ma massima perché correlata alla perdita del bene “vita”) per cui può essere in seguito formulata la richiesta risarcitoria.
Naturalmente, essendo deceduto colui che ha patito il danno morale terminale, a fare valere la pretesa risarcitoria saranno i suoi eredi: il diritto al risarcimento del predetto danno, infatti, è trasmissibile iure hereditatis. Agli eredi che agiscono in giudizio per il risarcimento del danno morale terminale, pertanto, verrà richiesto di provare la condizione di lucidità della vittima nel periodo di tempo compreso fra il sinistro e l’exitus. Essendo -tale onere probatorio- attinente ad uno dei fatti costitutivi dell’azione, il mancato assolvimento dello stesso avrà come ovvia conseguenza il rigetto, da parte dell’Autorità Giudiziaria, della richiesta risarcitoria.
Legal Team Sanasanitas