Anche nel caso in cui si accerta la corretta esecuzione di un intervento medico, il paziente che non è stato compiutamente informato dal sanitario in ordine al trattamento sanitario posto in essere ha diritto ad essere risarcito.
Il risarcimento del danno non patrimoniale per l’inadempimento dell’obbligo di “esatta informazione” è un danno autonomo che deve essere ristorato pure in mancanza di un “nesso di causalità tra i diffusi e molteplici disturbi accusati dalla paziente e gli esiti dell’intervento” e quindi anche quando non vengono riconosciuti gli altri danni richiesti e legati al tipo di intervento effettuato.
Laddove nella documentazione sanitaria portata all’attenzione del giudice non sia rinvenibile un atto comprovante l’importante ed essenziale manifestazione scritta, soprattutto di fronte ad una terapia chirurgica invasiva, al paziente deve essere riconosciuta tale specifica voce di danno non patrimoniale.
Il paziente dunque, nel corso del giudizio, deve esplicitamente richiedere -anche in sede di comparsa conclusionale- tale voce di danno.
Il paziente matura il diritto al risarcimento del danno per il semplice fatto che gli è stato praticato un intervento senza renderlo edotto delle possibili conseguenze negative dello stesso.
Il consenso afferisce alla libertà morale del soggetto ed alla sua autodeterminazione nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto delle proprie integrità corporee, le quali sono tutte profili della libertà personale proclamata inviolabile dall’art. 13 Cost.
Quindi al medico non può essere attribuito “un generale “diritto di curare”, a fronte del quale non avrebbe alcun rilievo la volontà dell’ammalato che si troverebbe in una posizione di “soggezione” su cui il medico potrebbe “ad libitum” intervenire, con il solo limite della propria coscienza”.
Esistono alcune eccezioni a tale criterio generale come “nel caso di trattamenti obbligatori ex lege, ovvero nel caso in cui il paziente non sia in condizione di prestare il proprio consenso o si rifiuti di prestarlo e, d’altra parte, l’intervento medico risulti urgente ed indifferibile al fine di salvarlo dalla morte o da un grave pregiudizio alla salute”.
Per il resto, “la mancanza del consenso (opportunamente “informato”) del malato o la sua invalidità per altre ragioni determina l’arbitrarietà del trattamento medico chirurgico e la sua rilevanza penale, in quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo”.
L’orientamento della giurisprudenza più recente prevede il seguente principio di diritto “secondo cui il risarcimento del danno può essere riconosciuto per il solo fatto dell’inadempimento dell’obbligo di esatta informazione che il sanitario era tenuto ad adempiere: tale inadempimento dà luogo al diritto al risarcimento del danno conseguente a tale specifica causa che va tenuto distinto dal risarcimento dei danni legati al tipo di intervento praticato”.
Il riferimento è anche ad altra decisione della Cassazione (Cass. civ. Sez. III, 14-03-2006, n. 5444) la quale ha stabilito che “la correttezza o meno del trattamento sanitario non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente -a causa del deficit di informazione- non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni e che, quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso”.
Legal Team Sanasanitas
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