Perdita della Vista in Seguito a Intervento Neurochirurgico: Caso Risolto da Sanasanitas
Sanasanitas ha trattato con successo la sfortunata vicenda di una paziente che, dopo un intervento neurochirurgico per la rimozione parziale di un neurinoma dell’VIII nervo cranico, ha subito gravi danni alla vista. Le complicanze post-operatorie hanno incluso la paralisi del nervo facciale, che ha impedito la chiusura dell’occhio sinistro, portando a una grave cheratite da esposizione non adeguatamente gestita.
Nonostante le condizioni critiche della paziente e la necessità di cautele specifiche per proteggere l’occhio, il personale sanitario non ha adottato le misure necessarie nei primi quattro giorni di degenza. Questo ha causato una progressiva disepitelizzazione corneale e, successivamente, una vasta ulcera corneale, che ha portato alla perdita della vista nell’occhio sinistro.
Sanasanitas ha assistito la paziente e i suoi familiari nell’ottenere giustizia e risarcimento per i danni da malasanità subiti. Grazie al supporto legale e medico-specialistico fornito, è stato possibile dimostrare la negligenza del personale sanitario e ottenere il giusto risarcimento per i gravi danni alla salute derivanti dall’errore medico.
Risarcimento danni da malasanità
Questa vicenda sottolinea l’importanza di una gestione attenta e scrupolosa dei pazienti nel periodo post-operatorio, evidenziando come errori e omissioni possano portare a conseguenze devastanti. Sanasanitas continua a essere un punto di riferimento per chi cerca giustizia e risarcimento per i danni da malasanità.
Il fatto:
L’associazione ha trattato con successo la sfortunata vicenda clinica di una paziente che si ricoverava con la diagnosi di neurinoma VIII nervo cranico a sinistra.
Il paziente era sottoposto a intervento chirurgico per l’exeresi subtotale della lesione mediante craniectomia occipito-laterale e sub-occipitale sinistra, ventricolostomia e posizionamento di derivazione ventricolare esterna. I sanitari decidevano di non asportare la parte di neurinoma tenacemente attaccata al tronco encefalico onde evitare gravi sequele neurologiche.
Subito dopo l’intervento il paziente era trasferito presso l’U.O. di Anestesia e Rianimazione in considerazione della estrema precarietà delle sue condizioni fisiche.
In rianimazione il degente giungeva dopo un complesso intervento chirurgico che aveva determinato nel paziente severe difficoltà nella gestione della tosse e nella deglutizione (a cui doveva essere rieducato) e, soprattutto, paralisi del nervo faciale con conseguente lagoftalmo sinistro, cioè impossibilità a chiudere l’occhio sinistro.
Proprio la paralisi del nervo faciale imponeva l’adozione di particolari cautele onde evitare danni irreparabili all’occhio interessato. In particolare, l’occhio doveva essere coperto e mantenuto in condizioni di corretta umidificazione per scongiurare il rischio di cheratite da esposizione.
Nei primi quattro giorni di degenza, però, nessun accorgimento veniva adottato e il degente rimaneva allettato con l’occhio sinistro spalancato e non coperto.
Quando il paziente veniva nuovamente trasferito presso l’U.O. Neurochirurgia era sottoposto a consulenza oculistica. Lo specialista confermava, all’occhio sinistro, lagoftalmo da paralisi del nervo faciale con estesa area di disepitelizzazione corneale da esposizione. Dopo tre giorni, alla visita di controllo, l’oculista refertava una vasta ulcera corneale e il medico prescriveva, oltre alla terapia farmacologica, il bendaggio dell’occhio sinistro, consigliando altresì una rivalutazione dopo 24-48 ore per verificare le condizioni cliniche.
Alla terza visita oculistica: lo specialista rinveniva un quadro clinico invariato rispetto al controllo precedente.
Seguivano le dimissioni.
Al momento delle dimissioni, presentava paralisi periferica del VII nervo cranico e deficit parziale del IX e X con conseguente difficoltà alla deglutizione. Gli veniva prescritto un programma di rieducazione funzionale per riacquisire la capacità deglutitoria e l’instillazione tre volte al giorno nell’occhio sinistro (che era bendato al momento delle dimissioni) di Lacrisifi (collirio indicato nella sindrome dell’occhio secco), per evitare la cheratite.
Il paziente, tornato a casa, seguiva scrupolosamente le prescrizioni mediche, soprattutto con riferimento all’occhio sinistro. Purtroppo, le condizioni di quest’ultimo non accennavano a migliorare e dall’occhio sinistro il paziente seguitava a non vedere nulla.
Il medico di famiglia, allarmato dalle condizioni in cui trovava l’organo e dal fatto che paziente non vedesse alcunché, prescriveva d’urgenza una visita specialistica.
In tale occasione, i sanitari disponevano un intervento d’urgenza. Il paziente, quindi, con la diagnosi di perforazione corneale occhio sinistro, si ricoverava e il giorno successivo era sottoposto a cheratoplastica perforante e impianto di membrana amniotica: l’intervento consentiva esclusivamente al paziente di conservare il bulbo ma la vista all’occhio sinistro era irrimediabilmente perduta.
neoformazione vascolare regione inguinale destra: obiettivo del ricovero era l’asportazione della detta neoformazione.
La responsabilità
La responsabilità dei medici è così sintetizzabile.
Il paziente si ricoverava per l’asportazione di un voluminoso neurinoma del nervo acustico.
L’intervento determinava una paralisi del nervo faciale con conseguente impossibilità per il paziente di chiudere l’occhio sinistro (lagoftalmo paralitico). L’incapacità di chiudere la rima palpebrale a seguito di paralisi del VII nervo cranico, se non si adotta un corretto comportamento protettivo, determina una cheratopatia da esposizione con finanche la perdita della funzione visiva nell’occhio interessato.
Subito dopo l’intervento, proprio in considerazione dell’impegnatività dell’atto chirurgico cui era stato sottoposto, il paziente venne trasferito presso l’Unità di Rianimazione. In tale sede, nessuno si preoccupava di adottare quelle misure cautelari che, in un paziente operato per neurinoma del nervo acustico e quindi con elevatissime probabilità di avere riportato una paralisi del nervo faciale, sarebbero dovute essere scontate: pulizia accurata della cute palpebrale e perioculare, lavaggio oculare con soluzione fisiologica, applicazione di gel lubrificante oppure di pomata oftalmica sulla superficie oculare più volte al giorno e, soprattutto, chiusura forzata delle palpebre con un cerotto.
L’occhio del paziente, invece, rimaneva sbarrato per circa quattro giorni: saranno i familiari a rendersi conto del peggioramento progressivo dell’occhio sinistro così attirando l’attenzione dei sanitari che solo dopo prescriveranno di tenere chiuso l’occhio sinistro del paziente.
L’oculista confermerà nell’occhio sinistro la presenza di una estesa area di disepitelizzazione corneale da esposizione e referterà una vasta ulcera corneale: la mancata osservanza delle più elementari regole cautelari nel corso del ricovero avevano quindi finito con il determinare quella cheratopatia da esposizione che, viceversa, l’osservanza delle suddette regole avrebbe scongiurato.
I successivi tentativi terapeutici non hanno consentito al paziente di guarire dalla cheratite da esposizione: essa si è evoluta fino alla perforazione corneale che ha richiesto un intervento chirurgico d’urgenza per salvare almeno il bulbo oculare.
Il danno arrecato è gravissimo in conseguenza del fatto dall’altro occhio il paziente vedeva già pochissimo dopo l’intervento per cui si aveva il ricovero.
Il Processo civile.
A seguito di lettera di contestazione dei fatti, la struttura sanitaria svolgeva una istruttoria interna della pratica che, però, non portava ad alcuna composizione bonaria del sinistro.
A seguito di ciò si procedeva a incardinare il processo civile per l’accertamento delle responsabilità con richiesta di risarcimento del danno in favore del danneggiato.
L’azione giudiziaria veniva gestita e coordinata dal nostro ufficio legale unitamente al medico legale ed al neurochirurgo di parte, tutti fiduciari e convenzionati con l’associazione.
Nel giudizio, si precisava che al momento del ricovero il paziente aveva un visus di 10/10 in ciascun occhio, senza necessità di correzione con lenti e alle dimissioni era invece è cieco parziale, con residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi (cieco ventesimista).
Aveva totalmente perduto la capacità visiva dall’occhio sinistro mentre l’occhio destro presenta un visus residuo di 1/20 non migliorabile con lenti.
Il dramma di questo giovane uomo è che dipende totalmente dall’aiuto dei familiari per ogni singolo atto della vita quotidiana, non essendo più in grado di svolgere alcuna attività lavorativa. Ovviamente anche il suo quadro psicologico peggiorava notevolmente a causa dei tragici eventi.
La controparte costituitasi nel processo chiedeva che venisse dichiarata l’assenza di responsabilità dei sanitari per la perdita del visus poiché sopraggiunta alle dimissioni per cause ignote, chiedeva quindi di dichiararsi il rigetto della domanda per l’assenza di nesso di causalità tra l’azione dei curanti e il danno al paziente.
Il CTU nominato dal Tribunale, nelle proprie valutazioni medico-legali, mostrava di condividere gran parte delle considerazioni della nostra difesa.
In particolare, il CTU condivide l’addebito principale secondo cui le cure all’occhio furono inadeguate.
Negligente, imperita ed imprudente –per il CTU- è stata pure la gestione della paziente perché non fu bendato l’occhio che, riammendo sempre aperto, è andato incontro alla perdita totale del visus.
Il Tribunale quindi riteneva di risarcire gran parte dei danni richiesti ritenuti connessi alla condotta inappropriata dei sanitari.
La sentenza liquidava alcuni danni richiesti sia patrimoniali che non patrimoniali, specificando le singole voci di danno per un importo complessivo in primo grado di circa 250 mila euro.
La causa veniva però appellata dal paziente e dai nostri legali perché non computava, pur citandolo, il danno morale. La Corte di Appello accoglieva la domanda e riconosceva ulteriori 200 mila euro al danneggiato.
L’associazione è lieta di avere conseguito il risultato sperato per un giovane uomo di circa 40 al momento del danno.
Come sempre rimane l’amarezza per l’impossibilità oggettiva di risarcire il bene salute in quanto bene assolutamente irrisarcibile economicamente: nessuna somma potrà mai compensare la perdita del visus di un giovane uomo.
Riferimenti giurisprudenziali
Primo grado – sentenza n. 1187/2022 Tribunale di Pisa
Secondo grado – sentenza n. 1079/2024 Corte di Appello di Firenze