Caso Risolto: Decesso del Paziente per Omessa Somministrazione di Eparina
Sanasanitas ha trattato con successo una tragica vicenda clinica riguardante una paziente ricoverata per l’asportazione di una neoformazione vascolare nella regione inguinale destra. La paziente, con una lunga storia di interventi chirurgici per varici e problemi cronici agli arti inferiori, è deceduta a causa della mancata somministrazione di eparina, un farmaco cruciale per prevenire trombosi post-operatorie.
La paziente era stata operata più volte per varici, soffriva di ulcere ricorrenti e dolori agli arti inferiori, e aveva subito un trauma contusivo al piede destro, compromettendo ulteriormente la sua capacità di deambulare. Nonostante gli esami pre-intervento fossero stati completati e l’intervento chirurgico programmato fosse stato eseguito, la negligenza nella gestione post-operatoria ha portato a conseguenze fatali.
Sanasanitas ha fornito un supporto legale e medico-specialistico per ottenere giustizia e risarcimento per i familiari della paziente, dimostrando l’importanza della somministrazione di eparina e delle cure adeguate nel periodo post-operatorio. Questa vicenda sottolinea la necessità di una gestione sanitaria attenta e scrupolosa per prevenire errori medici fatali.
Il fatto:
L’associazione ha trattato con successo la triste vicenda clinica di una paziente che si ricoverava con la diagnosi di neoformazione vascolare regione inguinale destra: obiettivo del ricovero era l’asportazione della detta neoformazione.
Il paziente, come riportato in anamnesi patologica remota, dal 1989 era stato ripetutamente operato di varici: tre volte all’arto inferiore destro e una volta al sinistro. Da diverso tempo- secondo le annotazioni relative all’anamnesi patologica prossima- lamentava dolenzia all’arto inferiore destro, con frequenza di ulcere al malleolo destro. Inoltre, riferiva di avere avuto trauma contusivo al piede destro con conseguente dolenzia al piede ed impossibilità ad estrofletterlo, non deambulando bene.
Il paziente era sottoposto agli esami pre-intervento di routine (ematologici e strumentali) ed entrava in camera operatoria per il programmato intervento di asportazione della neoformazione vascolare in regione inguinale destra.
In considerazione dell’assenza di complicanze post operatorie, i medici ne disponevano le dimissioni.
Nei giorni successivi, il paziente si atteneva alle prescrizioni mediche ma accusava sempre febbre e forti dolori all’intero arto inferiore destro. Inoltre appariva pallido e particolarmente affaticato. In considerazione della detta sintomatologia, decideva di anticipare la visita di controllo.
Secondo i sanitari non vi era nulla di anomalo e il paziente doveva semplicemente continuare la terapia antibiotica e ripresentarsi dopo due giorni per la rimozione dei punti di sutura.
Il paziente si atteneva ancora una volta alle istruzioni dei medici ma permanevano la febbre, i forti dolori all’arto inferiore destro e la facile affaticabilità che, nei giorni successivi, si tramutava in vera e propria difficoltà respiratoria.
Successivamente, a causa di un evidente aggravamento delle sue condizioni (era anche andato incontro ad un episodio di perdita di coscienza) veniva condotto dai familiari presso l’ospedale. All’esame obiettivo si presentava dispnoico, sofferente, sudato, pressione 90/40, polsi arteriosi flebili. Inoltre, permaneva la febbre.
Veniva nuovamente ricoverato con la diagnosi di shock ipovolemico da embolia polmonare massiva con infarto polmonare.
Presso l’U.O. di Cardiologia, però, non veniva sottoposto a test della coagulazione.
Il valore particolarmente basso dell’INR non preoccupava i medici, che continuavano a non eseguire i test della coagulazione ogni 4 ore.
I sanitari procedevano alla rimozione dei punti di sutura e la ferita chirurgica appariva in ordine. Era sempre presente un vistoso edema all’arto inferiore destro.
Poi le condizioni del paziente peggioravano drasticamente: egli, mentre deambulava, andava incontro a sincope e grave desaturazione (SaO2 70%).
Si procedeva ad Ecocardio che evidenziava la presenza di un trombo flottante tra atrio destro e ventricolo destro – sezioni di destra dilatate. Il riscontro della trombosi atrio-ventricolare destra imponeva ai medici di sottoporre il degente ad una nuova trombolisi con rt-PA (attivatore tissutale ricombinante del plasminogeno).
Il paziente veniva trasferito presso l’U.O di Anestesia e Rianimazione: all’ingresso in reparto si presentava intubato e ventilato per insufficienza respiratoria acuta, ipossico relativo, acidosi mista, ipotensione sisto-diastolica, polso femorale presente. Le pupille, inoltre, apparivano miotiche-isometriche e vi era sempre l’edema all’arto inferiore destro.
Veniva richiesta consulenza ematologica e si eseguiva EEG. Il tracciato piatto di quest’ultimo determinava la nomina della commissione che avrebbe dovuto accertare la realtà di morte del paziente, ormai in stato di morte cerebrale.
La responsabilità
La responsabilità dei medici è evidente. Esse si individuano tanto alla fase che ha preceduto l’embolia polmonare diagnosticata quanto alla fase successiva a detta diagnosi.
Con riferimento al primo profilo di responsabilità, il paziente si ricoverava per l’intervento di asportazione di neo formazione vascolare regione inguinale destra.
L’intervento si svolgeva regolarmente e il giorno successivo il paziente era dimesso: quale terapia domiciliare, gli venivano prescritti Rocefin e Lansoprazolo, medicazione giornaliera della ferita chirurgica con betadine e calze elastiche con eventuale fisioterapia per la contusione riportata al piede destro circa un mese prima.
I medici, dunque, decidevano di non prescrivere il farmaco d’elezione per la prevenzione del tromboembolismo venoso nei pazienti ospedalizzati, cioè l’eparina, né alcun altro farmaco con efficacia anticoagulante e in grado di mettere il paziente al riparo da fenomeni tromboembolici.
Il comportamento dei sanitari appare, con riferimento a tale determinazione, gravemente negligente ed imprudente.
La negligenza, l’imperizia e l’imprudenza mostrate dai medici sono altresì testimoniate dal fatto che, pure in presenza di un vistoso edema dell’arto inferiore destro essi non ritenevano opportuno procedere con tempestività ad un EcoColorDoppler venoso agli arti inferiori.
È proprio in conseguenza di questa fallimentare assistenza che si produce la recidiva tromboembolica che, coinvolgendo cuore e cervello del paziente, determinerà il decesso dello stesso.
Lascia increduli il fatto che solo dopo un nuovo episodio tromboembolico (purtroppo mortale) i medici siano riusciti a calibrare la terapia farmacologica in modo da portare i valori dell’INR il più vicino possibile al range terapeutico imposto dalla patologia da cui era affetto il paziente.
Sarebbe stato indubbiamente più utile conseguire questo risultato prima, in modo da evitare al giovane paziente quel secondo tromboembolismo che ne ha determinato l’exitus.
Il Processo civile.
A seguito di lettera di contestazione dei fatti, la struttura sanitaria -assicurata per l’evento verificatosi- delegava alla compagnia di assicurazione per l’istruttoria della pratica. L’assicurazione rigettava il sinistro non ravvisando alcuna responsabilità nell’operato dei sanitari.
A seguito di ciò si procedeva a incardinare il processo civile per l’accertamento delle responsabilità con richiesta di risarcimento del danno in favore degli eredi.
L’azione giudiziaria veniva gestita e coordinata dal nostro ufficio legale unitamente al medico legale ed al chirurgo generale, tutti fiiduciari e convenzionati con l’associazione.
Nel giudizio, si precisava che le responsabilità dei medici erano plurime, poiché il paziente veniva dimesso senza che gli venisse prescritta la profilassi antitrombotica: i medici, dunque, nonostante la presenza di due fattori predisponenti individuali (età e varici importanti) a loro certamente noti e di per sé sufficienti per giustificare la somministrazione del farmaco anticoagulante, sceglievano di rimandarlo a casa senza alcuna terapia farmacologica in grado di metterlo al riparo dal rischio tromboembolico.
La decisione dei medici era contraria alle prescrizioni delle Linee Guida.
L’embolia polmonare diagnosticata al paziente è stata la diretta conseguenza della mancata prescrizione dell’eparina ad un paziente al quale, viceversa, la profilassi antitrombotica doveva essere praticata in ragione dell’età e delle varici importanti che lo stesso presentava
La controparte costituitasi nel processo chiedeva che venisse dichiarata l’assenza di responsabilità dei sanitari nella morte della paziente e l’assenza di nesso di causalità tra l’azione dei curanti e l’exitus e che, pertanto, venissero rigettate le domande formulate da parte attrice.
Il CTU nominato dal Tribunale, nelle proprie valutazioni medico-legali, mostrava di condividere gran parte delle considerazioni della nostra difesa.
In particolare, il CTU condivide l’addebito principale secondo cui la somministrazione dell’eparina al paziente gli avrebbe salvato la vita con una elevata probabilità.
Negligente, imperita ed imprudente –per il CTU- è stata pure la gestione della paziente perché non fu mai calcolato il rischio trombotico come previsto dalle linee guida anche internazionali. La profilassi avrebbe certamente ridotto il rischio di tromboembolismo venoso fino ad annullarlo.
Il Tribunale quindi riteneva che la morte del paziente era riconducibile esclusivamente alla condotta inappropriata dei sanitari.
La sentenza del Tribunale prendeva atto dell’esito dell’istruttoria ed accoglieva la domanda di risarcimento in favore degli eredi della paziente.
I danni da risarcire erano iure proprio (degli eredi) e quelli ereditati dalla paziente.
Il Tribunale liquidava tutti i danni richiesti sia patrimoniali che non patrimoniali, specificando le singole voci di danno ivi compresa la perdita parentale, per un importo complessivo di oltre un milione di euro.
L’associazione è lieta di avere conseguito il risultato sperato ma rimane l’amarezza per la perdita di un paziente di appena 54 anni, strappato all’affetto dei suoi cari, a causa di errori commessi nel corso di ricovero per l’omessa somministrazione di un farmaco dal costo irrisorio ma dai benefici ineguagliabili.
Riferimenti giurisprudenziali
Primo grado – sentenza n. 3487/2024 Tribunale di Palermo