CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIV. SENTENZA N. 22639 DELL’ 8 NOVEMBRE 2016
In tema di responsabilità professionale sanitaria, gli unici titolari e custodi della cartella clinica del paziente ricoverato sono i sanitari: spetta a loro compilarla, annotando tutte le informazioni utili alla cura e gestione del paziente.
In caso di irregolare ovvero di omessa compilazione della cartella clinica, il paziente -qualora si trovi ad agire in sede giurisdizionale civile- potrebbe andare incontro a serie difficoltà nel dimostrare i fatti e/o il nesso causale fra il trattamento sanitario e l’evento avverso verificatosi in concreto.
Nell’ambito della responsabilità contrattuale, com’è è sicuramente qualificata la responsabilità della struttura sanitaria, spetta al convenuto debitore (appunto la struttura sanitaria) provare di avere correttamente adempiuto alla prestazione cui era contrattualmente obbligato oppure provare che, nonostante vi sia stato inadempimento, esso è stato etiologicamente irrilevante nella causazione del danno lamentato dal paziente. Viceversa il creditore/paziente che promuove il giudizio potrà limitarsi a provare il tiolo da cui scaturisce l’obbligazione del convenuto (il contratto di spedalità) e l’insorgere o l’aggravarsi della patologia (quindi il danno per cui chiede di essere risarcito) nonché allegare l’inadempimento del debitore astrattamente idoneo a cagionare il lamentato danno.
Una simile ripartizione dell’onere probatorio si fonda sul principio giurisprudenziale c.d. della prossimità o vicinanza della prova: in virtù del suddetto principio, l’onere probatorio deve gravare sulla parte che è prossima e/o vicina alla fonte di prova.
Pertanto, se la cartella clinica non è corretta oppure è incompleta, non solo si configura in capo alla struttura sanitaria un ulteriore inadempimento per difetto di diligenza ex art. 1176 C.c. (perché sono i sanitari onerati della sua corretta compilazione), ma –precisa la Suprema Corte- nella incompletezza della cartella clinica si rinviene proprio, in considerazione anche del principio della prossimità della prova, il presupposto perché scatti la prova presuntiva del nesso causale a sfavore del medico, qualora la condotta dello stesso (allegata dal paziente) sia astrattamente idonea a cagionare quanto lamentato.
Si tratta di un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità. Per esempio, nella sentenza n. 1538/2010, la Corte di Cassazione aveva già chiarito che le omissioni nella tenuta della cartella clinica imputabili al medico rilevano sia ai fini della figura sintomatica dell’inesatto inadempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale dell’articolo 1176 c.2 C.c., sia come possibilità di fare ricorso alla prova presuntiva, poiché l’imperfetta compilazione della cartella non può, in linea di principio, tradursi in un danno nei confronti di colui il quale abbia diritto alla prestazione sanitaria.
In conclusione, per il Giudice di legittimità, l’incompletezza della cartella clinica non può gravare sul paziente, deducendone l’assenza di prova del nesso causale. Per cui riguardo la responsabilità professionale del medico il nesso causale sussiste quando, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si possa ritenere che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto fondate possibilità di evitare il danno.
Legal Team Sanasanitas
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