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Casi di successo

Con Sanasanitas, abbiamo ottenuto numerosi casi di successo nel campo della malasanità e degli errori medici. Grazie alla nostra esperienza e competenza, siamo riusciti a ottenere giustizia e risarcimenti adeguati per le vittime di negligenza medica.

Caso di malasanità risarcimento del danno per Asfissia neonatale: Il fatto

L’associazione ha trattato con successo la triste vicenda del danno neonatale del piccolo neonato e dei suoi giovani genitori a causa di una errata prestazione sanitaria del 9/2/2009.

Quel giorno la partoriente si recava per un controllo di routine all’ambulatorio dell’ospedale per effettuare una ecografia del benessere fetale. Purtroppo l’accertamento evidenziava nella flussimetria dell’arteria ombelicale, l’inversione del flusso ematico in diastole, segnale chiaro di un gravissimo deterioramento della funzione placentare e, di conseguenza, dei rischi cui il feto andava incontro, a causa di una ridotta disponibilità di ossigeno, con la sua permanenza in utero.

Immediatamente la giovane donna veniva ricoverata, purtroppo, a fronte di questa tempestiva prima (corretta) risposta del servizio sanitario non seguiva una successiva perizia nel trattamento della paziente e del nascituro.

I sanitari infatti omettevano di porre in essere tutte le misure volte a scongiurare danni irreparabili al feto che la paziente portava in grembo.

I nostri specialisti, studiando la complessa cartella clinica, rilevavano l’omissione di tutti quei controlli serrati e intensivi che il risultato della flussimetria ombelicale imponeva e, soprattutto, un colpevole ritardo nella decisione di sottoporre a taglio cesareo “d’urgenza” la paziente.

Finalmente, alle ore 16.50 del 09/02/2009 -ben otto ore dopo la flussimetria che aveva destato l’allarme dei sanitari- il neonato vedeva la luce.

Con Indice Apgar 0/6/8, veniva sottoposto a rianimazione primaria fino alla ventilazione con Ambu e maschera e ripresa dell’attività cardiorespiratoria e con STEN trasferito presso la Divisione di Neonatologia e T.I.N.

Purtroppo il neonato pativa una serie di alterazioni a livello neurologico dovute alla grave sofferenza ipossica insorta poco prima del parto (accertata da ecografie cerebrali e RMN cranio).

Diagnosi terribile: paralisi cerebrale infantile a tipo tetraparesi spastica ipoposturale in nato pretermine con sofferenza ipossico-ischemica alla nascita.

Una vita del tutto rovinata, due genitori affranti e impotenti, una famiglia sconvolta!

Costi elevati di gestione dell’invalidità del  piccolo.

La responsabilità.

Al team di SanaSanitas – a cui la coppia si è subito rivolta per vederci chiaro e per richiedere giustizia – le responsabilità sono apparse subito chiare: la struttura sanitaria aveva commesso gravi errori !

I sanitari avevano omesso gli esami e i controlli in tempo utile per valutare lo stato di benessere fetale ed erano altresì responsabili per avere colpevolmente ritardato il taglio cesareo, anche quando tutti gli elementi diagnostici dimostravano l’improcrastinabilità del parto.

L’ingiustificabile mantenimento del feto in una situazione critica (evidenziata come estremamente rischiosa dalla flussimetria ombelicale) aveva pregiudicato in maniera irreparabile l’outcome neonatale.

Il Processo civile.

L’azione giudiziaria è stata promossa con lo studio dell’Avv. Daniele Abenavoli e con il supporto degli specialisti (medico legale, ginecologo e neonatologo) di SanaSanitas.

Giuridicamente si osservava che il contratto di ricovero ospedaliero della gestante spiega degli effetti protettivi sia nei confronti della parte che dei terzi, che sono per l’appunto il nascituro e il padre del neonato: soggetti legittimati a richiedere il giusto risarcimento del danno.

L’inadempimento veniva comprovato da una cospicua relazione di parte e successivamente accertato dalla consulenza tecnica di ufficio del Tribunale.
Nessun credito la nostra difesa dava alla tesi di controparte impegnata a convincere il giudice che il feto era affetto da un danno genetico.

La sentenza di primo grado accoglieva le istanze della giovane coppia e del neonato i quali si vedevano riconosciuto un risarcimento di oltre due milioni di euro.

 

Tuttavia la difesa dell’Avv. Daniele Abenavoli, non si riteneva pienamente soddisfatta dalla liquidazione economica del giudice di primo grado ritenuta per alcuni aspetti insufficiente e, pertanto, propose appello per richiedere un ulteriore riconoscimento economico (di circa un altro milione di euro in favore del neonato).

La sentenza di appello recepiva la richiesta economica ed affermava il diritto del minore a ricevere l’integrazione richiesta.
La causa, complessivamente, raggiungeva il valore di oltre tre milioni di euro da destinare al risarcimento di plurime voci di danno in favore della coppia e del neonato.
Il denaro non si può barattare con la salute ma almeno la vittima incolpevole di un errore sanitario con il risarcimento del danno potrà garantirsi cure adeguate, assistenza infermieristica qualificata, presidi ortopedici indispensabili ed infine, ma non per ultimo, potrà vivere in una abitazione priva di barriere architettoniche.

 

Riferimenti giurisprudenziali:

 

Primo grado – sentenza n. 4369/2018 Tribunale di Napoli

Secondo grado – sentenza n. 670/2023 Corte di Appello di Napoli

Risarcimento danni Lesione iatrogena: Il fatto.

L’associazione ha trattato con successo la vicenda umana e sanitaria di un brav’uomo, dirigente statale in pensione.

Il paziente aveva programmato con i sanitari l’intervento chirurgico di prostatectomia radicale. Durante l’atto operatorio, le manovre di liberazione del muscolo retto-uretrale particolarmente indaginose provocavano una lesione lineare dell’ampolla rettale. La lesione del retto determinava la formazione di una fistola retto-uretrale con secrezione mucosa urinaria. I sanitari, che non riscontravano il passaggio di feci, né il passaggio di urine nel retto, ritenevano opportuno un secondo intervento. Successivamente, dopo pochi giorni, il paziente tornava in camera operatoria. Si individuava modesto tramite fistoloso immediatamente distale rispetto al collo vescicale e si procedeva ad obliterazione della fistola. Il paziente quindi veniva dimesso ma nei mesi successivi, proprio a causa della fistola retto-uretrale, andava incontro a ripetute e perduranti infezioni urinarie con febbre. L’esame colturale delle urine rivelava la presenza di Enterobacter Faecalis e di Pseudomonas Aeruginosa.

Il paziente spossato da settimane di febbre di tipo urosettico resistente alla comune terapia antibiotica, si recava presso il pronto soccorso senza ricevere le adeguate cure. I sanitari si limitavano a somministrargli degli antibiotici utili a contrastare l’infezione alle vie urinarie ma non ad eliminare la causa dell’infezione stessa.

Il permanere della fistola retto-uretrale però determinava il continuo ripetersi di episodi infettivi a carico delle vie urinarie, con febbre anche molto elevata. Il paziente faceva ricorso, di volta in volta, ad antibiotici ma si trattava di meri palliativi, utili cioè a curare l’infezione ma non ciò che la scatenava.

Il paziente, su disposizione di una diversa struttura sanitaria, si sottoponeva a uretrocistografia. L’esame confermava ciò che i numerosi episodi infettivi, successivi all’intervento di prostatectomia, avevano fatto sospettare: la colla biologica non aveva risolto il problema, permanendo infatti uno stabile collegamento tra apparato urinario e colon con tutte le conseguenze infettive patite dal paziente nel corso dei mesi e delle settimane precedenti.

Poi la situazione precipitava e il paziente era costretto a ricorrere più volte alle cure del pronto soccorso. Recatosi nuovamente nell’ospedale che lo aveva operato inizialmente (il paziente pretendeva di essere curato adeguatamente dai sanitari che lo avevano trattato chirurgicamente) non riceveva cure adeguate e non veniva più ricoverato.

Sentitosi abbandonato, si fece accompagnare presso un’altra struttura sanitaria privata e lì -finalmente- si comprendeva che la contrazione completa della diuresi era da ricondurre ad un’intervenuta condizione di sepsi.

Ricoverato d’urgenza era sottoposto ad un complesso intervento chirurgico: cistectomia con confezionamento di un condotto ileale e colostomia.

La descrizione dell’intervento chirurgico fotografava in maniera impietosa la drammatica situazione in cui versava il paziente dopo mesi di cistiti recidivanti e resistenti ad antibioticoterapia, cioè dopo mesi in cui l’organo era stato oggetto di ripetuti processi infettivo-infiammatori a causa dei batteri che, grazie al tramite fistoloso, riuscivano agevolmente a raggiungerlo.
Il paziente, dopo tre settimane in terapia intensiva ed un secondo ingresso in camera operatoria per il riconfezionamento del condotto ileale e della colostomia e per il confezionamento di un’ileostomia di scarico resasi necessaria a seguito di peritonite, veniva dimesso e aveva salva la vita.

La Commissione Medica per l’accertamento degli stati di invalidità civile dichiarava il paziente in quanto soggetto uro- ed entero-stomizzato, portatore di tre sacchetti per la raccolta delle proprie deiezioni (due sacchetti per le feci ed uno per le urine), persona invalida al 100% con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.

La responsabilità.

L’interessato si rivolgeva con grande fiducia al nostro team di SanaSanitas perché era determinato ad avere giustizia (forse era spinto più da motivazioni morali che economiche essendo egli un soggetto benestante).
Ai nostri esperti le responsabilità sono apparse subito chiare: la struttura sanitaria aveva commesso un errore chirurgico importante a cui non aveva saputo porre rimedio.
La lesione lineare inferta all’ampolla rettale nel corso dell’intervento di prostatectomia aveva determinato la formazione della fistola retto-vescicale con conseguenti processi infettivo-flogistici recidivanti a carico della vescica.

L’organo, sottoposto a cistite cronica, è andato progressivamente deteriorandosi, con fibrosi della lamina propria e fibrosi inter- e infra-fascicolare della tonaca muscolare, fino alla totale perdita della funzionalità con la contrazione completa della diuresi.

I medici che hanno soccorso all’ultimo momento utile il paziente, accertata la compromissione della vescica nonché una condizione di sepsi, non potevano fare altro che asportarla confezionando per il paziente un’urostomia che consentisse, sebbene in modo diverso da quello fisiologico, la fuoriuscita delle urine.

Non solo, in considerazione della situazione infettiva, si rendeva necessaria una colostomia.

In seguito, non solo l’urostomia ma anche la colostomia diventava irreversibile costringendo il paziente a convivere – per tutto il resto della sua vita – con ben tre dispositivi di raccolta, per feci e urine.

È facile intuire come tutto ciò abbia notevolmente peggiorato la qualità di vita del paziente. Egli ha perduto la possibilità di controllare le proprie deiezioni (automaticamente raccolte nei sacchetti), ha dovuto imparare a gestire le stomie (la cui manutenzione è fondamentale per evitare infezioni), ha dovuto fare i conti con una nuova immagine di sé e intraprendere un complesso, delicato percorso di adattamento psicologico e sociale alla sua nuova condizione.

 

Il Processo civile.

 

A seguito di lettera di contestazione dei fatti la struttura sanitaria rimaneva silente (condotta che l’azienda manterrà sempre nel corso degli anni, fino all’esito dell’ordinanza di pignoramento, richiesta ed ottenuta dal nostro avvocato, nei confronti dell’istituto di credito tesoriere dell’azienda sanitaria).

L’azione giudiziaria veniva avviata con il supporto scientifico del nostro team medico legale e del nostro fiduciario, primario di chirurgia generale, unitamente al responsabile dell’area legale dell’associazione.

Giuridicamente si osservava che, nel caso di specie, risultavano provati documentalmente: 

  • a) l’esistenza del rapporto di cura;
  • b) l’insorgenza, a causa della lesione inferta all’ampolla rettale nel corso dell’intervento chirurgico e degli inefficaci rimedi adottati in seguito per riparla, di una fistola retto-uretrale che, consentendo il continuo passaggio dei batteri dall’intestino alle vie urinarie, ha esposto il paziente a recidivanti cistiti resistenti a terapia antibiotica con conseguente compromissione della struttura e della funzionalità della vescica e necessità di sottoporre il paziente, ormai in pericolo di vita per stato settico, all’asportazione della stessa e a confezionamento di ureteroileocutaneostomia e colostomia. Successivamente, tanto l’ureteroileocutaneostomia (necessaria per fare uscire le urine dopo l’asportazione della vescica) quanto la colostomia (attraverso cui fare uscire il materiale fecale) diventavano definitive;
  • c) l’inadempimento dei medici, concretizzatosi: nella scorretta esecuzione dell’intervento di prostatectomia radicale e nell’inadeguata assistenza fornita al paziente dopo la lesione inferta all’intestino retto;
  • d) il nesso di causalità materiale tra la condotta dei medici e la lesione alla salute del paziente (è l’erronea manovra chirurgica, come riportato nella stessa scheda dell’intervento, a determinare la lesione dell’ampolla rettale ed è l’inefficace assistenza prestata al paziente in seguito a fare degenerare la situazione fino al punto di rendere obbligatoria l’asportazione della vescica e il confezionamento di ureteroileocutaneostomia e colostomia);
  • e) il nesso di causalità giuridica tra la lesione inferta all’intestino retto del paziente e il gravissimo danno conseguente per cui l’interessato chiede di essere risarcito nel giudizio (la lesione all’ampolla rettale, non correttamente suturata, ha determinato la formazione di una fistola retto-uretrale, cioè di un collegamento patologico fra intestino e vie urinarie con conseguente, persistente, passaggio di batteri dal primo verso le seconde.

 

In ordine all’accertamento del nesso causale, se i medici avessero eseguito correttamente e diligentemente la loro prestazione professionale (non ledendo l’ampolla rettale e assistendo successivamente il paziente in maniera adeguata) è più probabile che non si sarebbe prodotto, in capo al paziente, il gravissimo danno permanente per cui egli chiede di essere risarcito (asportazione della vescica e necessità di utilizzare dei sacchetti per la raccolta di feci e urine), che non il contrario.

Si richiedeva pertanto il risarcimento di tutti i danni non patrimoniali e più precisamente il danno biologico, il danno morale, il danno esistenziale oltre al danno patrimoniale. Tutti le istanze erano provate e quantificate.

Le controparti del processo richiedevano l’assoluzione e/o la limitazione delle responsabilità alla lesione inferta escludendo dal novero dei danni l’asportazione della vescica e il confezionamento di ureteroileocutaneostomia e colostomia.

La sentenza dava pienamente ragione al paziente riconoscendogli tutte le voci di danno richieste prevedendo anche una generosa valutazione nella liquidazione del danno morale.

In totale al paziente fu riconosciuto il risarcimento di tutti i danni quantificati in un milione e trecentomila euro.

La controparte propose appello che fu integralmente rigettato dal giudice di secondo grado.

La vicenda umana del paziente -a noi dell’associazione- ci ha particolarmente colpiti, non soltanto perché ha patito un gravissimo danno che ha sconvolto la vita del paziente e quella della sua affezionatissima moglie ma –soprattutto- perché il paziente ha affrontato questa dura prova della vita con dignità, coraggio e ottimismo.

 

SanaSanitas conserva un caro ricordo ed ha grande stima per questo uomo, vittima della malasanità, che oggi purtroppo non c’è più.

 

Riferimenti giurisprudenziali

 

Primo grado – sentenza n. 1509/2017 Tribunale di Roma

Secondo grado – sentenza n. 5565/2022 Corte di Appello di Roma

Trombosi Venosa Profonda e le complicanze trombo-emboliche: Il fatto.

L’associazione ha trattato con successo – nell’unico grado di giudizio – la vicenda umana e sanitaria di un giovane uomo di 59 anni.
Il paziente si faceva accompagnare dai familiari al pronto soccorso a seguito del manifestarsi di un generale malessere caratterizzato da dolori allo stomaco, forti algie alla gamba sinistra e mancanza di fiato.
I sanitari sottoponevano a visita il paziente e l’esame obiettivo mostrava toni cardiaci validi e ritmici, murmure vescicolare fisiologico su tutto l’ambito, addome trattabile alla palpazione superficiale e profonda, non segni di irritazione peritoneale. Con riferimento all’anamnesi patologica prossima, i medici annotavano che il paziente, circa due ore prima del suo ingresso in Pronto Soccorso, aveva accusato dolore toracico ed epigastrico associato a dispnea della durata di un’ora e regredito spontaneamente.
Presa visione dei risultati degli esami ematochimici e di quelli strumentali chiedevano una consulenza cardiologica, ponendo quale quesito diagnostico dolore toracico.
Lo specialista cardiologo refertava paziente senza fattori di rischio cardiovascolari noti a parte ipertensione arteriosa.

A seguito della consulenza cardiologica dunque il paziente era trasferito, con la diagnosi di sindrome coronarica acuta, presso l’U.O. di Cardiologia. Al suo ingresso in Cardiologia, si raccoglieva l’anamnesi patologica prossima: stamane dolore epigastrico associato a dispnea.
La coronarografia eseguita mostrava un albero coronarico indenne da lesioni. Si individuava altresì una sacca ovalare aneurismatica intramiocardica rifornita da rami provenienti dal discendente anteriore e dal circonflesso fistolizzante nel tronco dell’arteria polmonare.

La notte il paziente non riusciva a riposare per i forti dolori alla gamba sinistra. A tale proposito, nel diario clinico si annotava la circostanza.

Si procedeva a ecocardiogramma transtoracico, all’esito di tale esame, i medici comunicavano al paziente e ai suoi familiari che si rendeva necessario un intervento chirurgico per la fistola riscontrata all’arteria polmonare. L’intervento però necessitava di uno specialista che avrebbe dovuto essere chiamato da altra struttura sanitaria.

forti dolori alla gamba sinistra, però, non davano tregua al paziente e nel diario clinico, si annotava riferita dolenzia arto inferiore sinistro. Si riteneva pertanto opportuno richiedere un EcoDoppler venoso all’arto inferiore sinistro e nel frattempo erano somministrati al paziente degli antidolorifici.
Nella giornata seguente il paziente continuava a lamentare forti dolori alla gamba sinistra. L’ECG risultava invariato e i medici non apportavano alcuna modifica alla terapia farmacologica. Nel diario clinico si annotava in attesa di seguire Doppler.
I familiari, preoccupati per le condizioni del paziente e soprattutto per i forti dolori accusati alla gamba, insistevano energicamente affinché un medico valutasse con attenzione l’arto inferiore sinistro. Il sanitario dapprima rassicurava sostenendo che non si trattava di nulla di grave poiché la gamba era calda poi, tastando l’inguine sinistro del paziente che provava, in conseguenza di ciò, un dolore ancora più intenso, ribadiva la necessità di un EcoDoppler ma aggiungeva che l’esecuzione dello stesso era di competenza di un altro reparto.

Purtroppo il giorno seguente, secondo quanto riportato nel diario clinico, il paziente accusava improvvisa dispnea e senso di oppressione sternale. Si assicura accesso venoso centrale. Si monitorizza ECG che mostra ritmo sinusale a 85 bpm con sottoslivellamento del tratto ST in anteriore e laterale. L’Ecocardiogramma mostra diffusa ipocinesia del ventricolo sinistro. Inizia Dobutamina ev. Persiste stato di shock. Arresto cardiaco. Inizio delle manovre rianimatorie senza successo. Exitus.

Il paziente dunque decedeva.

A seguito di successivo esame autoptico, si accertava che l’exitus era stato provocato da una massiva trombo-embolia polmonare a partenza da una flebo-trombosi dell’arto inferiore sinistro estesa all’asse ileo-femorale omolaterale in un paziente con coronarie indenni.
Una notevole quantità di trombi freschi (costituiti da piastrine, fibrina con una elevata componente di globuli rossi) si era conseguentemente embolizzata nell’albero polmonare con ostruzione del tronco dell’arteria polmonare, occlusione completa dell’arteria polmonare sinistra e delle arterie di secondo e terzo ordine (lobari, segmentarie) del polmone destro.
L’occlusione acuta di gran parte dell’albero arterioso polmonare, provocato dalla massiva trombo-embolia, aveva ridotto le capacità di ossigenazione da parte del polmone con conseguente stato di ipossia acuta, sovraccarico delle sezioni destre del cuore, shock cardiogeno da cedimento del ventricolo destro ed arresto cardiaco irreversibile.

La responsabilità.

I familiari avendo improvvisamente e inaspettatamente perduto il congiunto, non persuasi dalle giustificazioni dei sanitari, si rivolgevano al team di SanaSanitas per comprendere cosa fosse realmente accaduto e per avere un quadro chiaro di eventuali profili di responsabilità a carico della struttura sanitaria.
Lo studio della cartella clinica chiariva i dubbi dei familiari perché effettivamente venivano evidenziate delle inescusabili negligenze causalmente rilevanti nel decesso del paziente.
Il paziente si recava presso il Pronto Soccorso lamentando mancanza di fiato nonché dolori allo stomaco e alla gamba sinistra. I sanitari, ritenendo che la sintomatologia presentata dal paziente fosse da ricondurre ad una patologia cardiaca, decidevano di trasferire il padre e marito delle mie assistite all’U.O. di Cardiologia. I medici dell’U.O. di Cardiologia, nonostante da subito ritenessero che sussistesse un quadro clinico idoneo per (quantomeno) ipotizzare una trombosi venosa profonda tardavano a richiedere un EcoDoppler venoso all’arto inferiore sinistro.

Ritardo ingiustificato che si rileverà fatale per il paziente.

Come riportato nel diario clinico ed infermieristico, il paziente non era nemmeno riuscito a riposare la notte a causa dei forti dolori alla gamba e l’arto si presentava insolitamente caldo. Inoltre, dall’anamnesi patologica prossima, risultava -circa due ore prima del suo arrivo al Pronto Soccorso- il paziente aveva avuto un episodio, durato circa un’ora, di dolore toracico ed epigastrico accompagnato da dispnea. Tali sintomi, inizialmente, erano stati attribuiti ad una cardiopatia ischemica ma, successivamente, di fronte alla persistente sintomatologia dolorosa alla gamba avrebbero dovuto essere correttamente valutati: con ogni probabilità, infatti, essi rappresentavano i primi segni di una embolizzazione di modeste quantità di materiale trombotico ai polmoni proveniente proprio dal (dolorante) arto inferiore sinistro.

Il primo profilo di responsabilità dei medici, dunque, attiene alla non corretta interpretazione del quadro clinico del paziente.
Successivamente (e questo rappresenta il secondo profilo di responsabilità), i sanitari non si sono attivati per la rapida esecuzione delle indagini strumentali e di laboratorio che avrebbero consentito di porre diagnosi certa di trombosi venosa profonda all’arto inferiore sinistro.
In particolare, si limiteranno a chiedere l’EcoDoppler (che però non verrà mai eseguito) e, alle legittime richieste dei familiari del paziente circa i motivi del ritardo nell’esecuzione del detto esame, risponderanno che la competenza era di un altro reparto.
La circostanza che i medici avessero richiesto un EcoDoppler venoso all’arto inferiore sinistro dimostra che essi sospettavano una TVP e che con l’esame volevano averne certezza.

Costituisce dunque una gravissima negligenza, in considerazione del fatto che la TVP con le sue complicanze trombo-emboliche (embolia polmonare) è una malattia potenzialmente fatale se non tempestivamente curata, il non avere provveduto ad eseguire tempestivamente i necessari esami.
I sanitari sono responsabili non solo per la mancata esecuzione dell’EcoDoppler venoso, ma anche per la mancata esecuzione del dosaggio del D-Dimero (che non verrà mai nemmeno richiesto).
Ai sopra esposti profili di responsabilità, se ne deve aggiungere un terzo. La TVP richiede un immediato approccio terapeutico pertanto, in presenza di un forte sospetto clinico e a fronte di un ritardo nell’esecuzione degli esami strumentali, si deve comunque subito iniziare il trattamento anticoagulante con eparina a dosi adeguate e dicumarolici.

Nella vicenda del paziente, pur in presenza di un quadro clinico suggestivo per trombosi venosa profonda, i sanitari non hanno ritenuto di iniziare sollecitamente un adeguato trattamento anticoagulante.
La flebo trombosi ileo-femorale, non diagnosticata e quindi non adeguatamente trattata, è andata incontro all’embolizzazione polmonare con ostruzione del tronco principale e dell’arteria polmonare sinistra unitamente a numerosi rami segmentari dell’arteria polmonare destra. Ciò ha determinato ipossia da deficit perfusivo polmonare e shock cardiogeno da disfunzione acuta del ventricolo destro causata dall’improvviso aumento delle resistenze polmonari. Il gravissimo quadro anatomo-clinico polmonare ha determinato il decesso del paziente in brevissimo tempo.

Il Processo civile.

A seguito di lettera di contestazione dei fatti la struttura sanitaria -che riteneva di essere assicurata per l’evento verificatosi- delegava alla compagnia l’istruttoria della pratica. L’assicurazione però eccepiva la decadenza dalla copertura assicurativa e quindi il processo si incardinava con la costituzione di entrambi i soggetti in qualità di convenuto e di terzo chiamato.

L’azione giudiziaria veniva avviata con il supporto scientifico del nostro team medico legale e del nostro fiduciario, primario di chirurgia generale, unitamente al responsabile dell’area legale dell’associazione.

Sotto il profilo giuridico, l’accettazione del paziente nella struttura sanitaria ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta di per sé la conclusione di un contratto a contenuto complesso tra paziente e struttura. Ne consegue che la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria nei confronti del paziente può conseguire, ex art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni poste direttamente a suo carico nonché, ex art. 1228 c.c., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario.

Essendo, le obbligazioni poste a carico del medico, obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale, la diligenza nell’adempimento deve essere valutata alla luce dell’art.1176, II comma Cod. Civ., quindi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.

Nella vicenda di cui si discute erano provati documentalmente:

l’esistenza del rapporto di cura;

l’aggravamento di una patologia (tromboembolismo venoso con conseguente embolia polmonare massiva) determinatosi in conseguenza delle multiple condotte omissive dei medici della convenuta i quali: non hanno diagnosticato clinicamente la trombosi venosa profonda  alla gamba sinistra che il paziente presentava fin dal suo ingresso in P.S.; non hanno eseguito, pure quando hanno iniziato a sospettare la TVP, le indagini strumentali e di laboratorio che avrebbero consentito la diagnosi di trombosi all’arto inferiore; non hanno prescritto, pure nel sospetto di TVP, la corretta terapia anticoagulante (con eparina a dosi adeguate e dicumarolici) limitandosi a somministrare solo 4.200 U/die di eparina mentre ne sarebbero serviti almeno 12.000 U/die (in pratica, è stato somministrato il quantitativo indicato per prevenire la TVP e non quello che serve per una trombosi venosa profonda già in atto);

l’inadempimento dei medici, concretizzatosi: nella colpevole mancata diagnosi della TVP che il paziente presentava fin dal suo ingresso in Pronto Soccorso; nella mancata esecuzione degli accertamenti strumentali e di laboratorio necessari nonostante il fondato sospetto di una TVP; nella mancata somministrazione dell’idonea terapia anticoagulante nonostante il sospetto di una TVP;

il nesso di causalità materiale tra la condotta dei medici dell’Azienda Sanitaria convenuta e la lesione alla salute del paziente e il nesso di causalità giuridica tra la lesione inferta alla salute del paziente e il danno (decesso del congiunto) per cui gli eredi chiedevano il risarcimento del danno.

La prestazione sanitaria riservata al paziente è stata caratterizzata per gravissima imprudenza, negligenza e imperizia: l’inadempimento dei medici della struttura si è protratto per tutta la durata del ricovero e nulla di ciò che avrebbe dovuto essere fatto è stato, purtroppo, fatto.

Nella vicenda i medici hanno totalmente ignorato la sintomatologia clinica del paziente: anche dopo che la sindrome coronarica acuta era stata esclusa, non hanno tenuto in alcuna considerazione i forti dolori alla gamba sinistra che il paziente lamentava.

Inoltre, se il dosaggio del D-Dimero fosse stato effettuato, la diagnosi di trombosi venosa profonda avrebbe potuto essere posta con certezza pressoché assoluta stante il concomitante forte dolore lamentato dal paziente all’arto inferiore sinistro.

I medici dell’ASP di Ragusa, in attesa dell’Ecodoppler venoso, non solo non prescrivevano il dosaggio del D-Dimero ma non aumentavano nemmeno il dosaggio dell’eparina.

La conseguenza diretta della colpevole negligenza, imperizia e imprudenza dei medici è stata che si è instaurata quell’embolia polmonare massiva (con ostruzione del tronco principale e dell’arteria polmonare sinistra unitamente a numerosi rami segmentari dell’arteria polmonare destra) che ha determinato in pochissimi minuti -a causa della conseguente ipossia da deficit perfusivo polmonare e del susseguente shock cardiogeno da disfunzione acuta del ventricolo destro determinata dall’improvviso aumento delle resistenze polmonari- il decesso del paziente.

Nel processo sono stati prodotti dai nostri fiduciari le relazioni tecniche della Procura della Repubblica e i consulenti del Tribunale penale si esprimono in maniera netta circa la non correttezza dell’operato dei vari sanitari che, nel corso del ricovero, sono entrati in contatto con il paziente e circa la rilevanza causale di tale scorretto operato nell’exitus del paziente, sostanzialmente condividendo tutto l’iter clinico ricostruito dal nostro legale.

Sulla scorta di tali risultanze probatorie gli interessati richiedevano il risarcimento integrale di tutti i danni di carattere morale, biologico (iure hereditatis) e danno non patrimoniale (iure proprio) e danno esistenziale, quantificando il tutto in Euro 750.000.

Le controparti si difendevano chiedendo il rigetto di qualsiasi profilo di responsabilità dei sanitari in quanto evento non prevedibile e non altrimenti evitabile.

La sentenza emessa dal Tribunale competente accoglieva la domanda e dava pienamente ragione agli eredi del paziente deceduto, riconoscendogli tutte le voci di danno richieste e quantificando complessivamente il danno in Euro 613.000 oltre interessi.

Entrambe le controparti rinunciarono a proporre appello e la sentenza divenne così definitiva.
Anche questa vicenda ci ha insegnato che l’errore sanitario è più insidioso dell’errore di un altro professionista.

Nel caso narrato si deve evidenziare che i congiunti del paziente sono la moglie (vedova) e la figlia (in età scolare). Il tragico evento ha sconquassato la serenità di tutta la famiglia e li ha messi in ginocchio economicamente poiché il paziente era l’unico percettore di reddito.

SanaSanitas continuerà sempre a tutelare gli interessi delle persone offese e si farà sempre carico della loro sofferenza e, se del caso, di tutte le esigenze materiali per conseguire i risultati satisfattivi di giustizia sostanziale, utili a garantire un equo compenso a coloro che rimangono improvvisamente orfani o/e vedove, increduli, indifesi.

Riferimenti giurisprudenziali

Primo grado – sentenza n. 867/2023 Tribunale di Ragusa

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Ti verrà assegnato un professionista che sarà il tuo unico referente e che ti seguirà -nel caso la vicenda sia fondata- nel corso dell’intero iter necessario per ottenere il risarcimento del danno.

Cosa faremo per te

Ci attiveremo, su Tuo incarico, per il giusto risarcimento del danno morale e materiale avviando, se del caso, un contenzioso ovvero definendo la vertenza in sede extragiudiziaria con l’ausilio dei nostri professionisti, specialisti del settore medico interessato.

Valutazione medica accurata

La nostra esperienza ci insegna che le strutture responsabili di errore e/o le loro assicurazioni sono ostili al riconoscimento di profili di responsabilità perché ciò comporterebbe per loro un automatico esborso economico. Da qui nascono le complicazioni per addivenire a una rapida definizione del sinistro.

Associazione Sanasanitas

SanaSanitas riunisce in associazione validi professionisti esperti del settore per dare voce ai tuoi diritti.
Il nostro obiettivo è quello di fornire, a quanti si rivolgono a noi, informazioni chiare e semplici, indispensabili per ottenere gratuitamente il giusto risarcimento del danno patito.

SanaSanitas riunisce in associazione validi professionisti esperti del settore per dare voce ai tuoi diritti.
Il nostro obiettivo è quello di fornire, a quanti si rivolgono a noi, informazioni chiare e semplici, indispensabili per ottenere gratuitamente il giusto risarcimento del danno patito.
I nostri punti di forza sono la semplicità, la rapidità e la trasparenza dell’informazione.

Il nostro obiettivo è aiutare tutti coloro che hanno patito un danno alla salute a causa della cosiddetta MALASANITA’ e che, sovente, non dispongono dei mezzi e delle risorse necessari per avviare l’ iter amministrativo/giudiziario finalizzato a ottenere il risarcimento dei danni. SANASANITAS garantisce – a tutti coloro che sono stati danneggiati da errori medici- consulenze e relazioni multidisciplinari integrate di elevatissimo valore tecnico-scientifico.

Contattaci con fiducia

Ti diamo ascolto e ti offriamo gratuitamente la nostra
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