Sia sul piano civile che sul piano penale, affinché un determinato comportamento possa dare luogo a responsabilità occorre sempre che l’azione (o l’omissione) posta in essere dal soggetto responsabile sia strettamente collegata all’evento lesivo da un rapporto definito “di causalità”.
Ciò vuole dire che l’azione (o l’omissione) devono avere come diretta conseguenza l’accadimento lesivo e che, in loro assenza, il danno non si sarebbe sicuramente verificato.
Il nesso di causalità, più nel dettaglio, può essere definito come quel rapporto di azione/omissione e reazione in assenza del quale non si sarebbe verificato l’evento.
Il concetto di causalità nel processo civile non coincide con quello presente in sede penale, poiché il nesso causale nel primo ambito si caratterizza per l’elemento della probabilità relativa; in sostanza, nel processo civile, il nesso causale risponde alla regola del “più probabile che non”.
Il principio giurisprudenziale afferma che, nei giudizi di responsabilità medica, il creditore/danneggiato deve provare oltre al danno anche la sua eziologia e, pertanto, la causa incognita resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente all’impossibilità di adempiere.
Però tale principio da solo è insufficiente e, per essere attuato, deve accompagnarsi ad un altro principio di diritto -rammentato dalla S.C. – cioè quello secondo cui nel giudizio di risarcimento del danno conseguente ad attività medico-chirurgica, l’attore danneggiato ha l’onere di allegare l’inadempimento “qualificato” del debitore, ossia astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato.
Ciò comporta che, nei giudizi civili di risarcimento del danno da responsabilità medica, il danneggiato deve provare l’esistenza del contratto e il danno nonché allegare inadempienze astrattamente idonee a provocare il lamentato danno (c.d. inadempimento qualificato) per dimostrare, secondo la regola probatoria del “più probabile che non”, che l’esecuzione del rapporto curativo si è inserita nella serie causale che ha condotto al danno.
Rimane a carico del sanitario la prova della causa a lui non imputabile che gli ha reso impossibile la prestazione.
In sostanza, sussiste un duplice ciclo causale: l’uno –a monte- relativo all’evento dannoso, l’altro –a valle- relativo all’impossibilità di adempiere e il primo deve essere provato dal danneggiato mentre il secondo deve essere provato dal danneggiante.
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