Responsabilità medica e applicazione dei criteri tabellari per la liquidazione del danno diversi da quelli elaborati presso il Tribunale di Milano.
Con sentenza n. 15039 del 25 luglio 2017, il Tribunale di Roma –decidendo una causa che ci riguardava- ha avuto modo di affrontare diversi aspetti relativi alla responsabilità medica.
Il paziente, ricoverato presso un’Azienda Ospedaliera, subiva nel corso dell’intervento chirurgico una grave lesione intraoperatoria. L’erroneo trattamento della lesione e le cure inadeguate successivamente prestate determinavano nel paziente una grave invalidità, con necessità di assistenza continua e un pesante peggioramento delle qualità di vita. Egli, pertanto, si determinava ad agire in giudizio nei confronti della struttura sanitaria, domandando la sua condanna al risarcimento di tutti i danni patiti, patrimoniali e non patrimoniali.
Il Tribunale –dopo avere richiamato alcuni dei consolidati principi giurisprudenziali in tema di responsabilità professionale medica, tra cui quelli inerenti la natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria- riconosceva la fondatezza della pretesa attorea e, dunque, la responsabilità della convenuta che veniva condannata al risarcimento dei danni patiti dal paziente.
Per la determinazione del quantum risarcitorio, il Giudice -in applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass., sez. un., 11.11.2008, n. 26972)- riteneva che, siccome il fatto illecito aveva determinato un pregiudizio psico-fisico (che configura astrattamente il reato di lesioni personali colpose), ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale si doveva tenere conto sia della lesione alla salute sia delle sofferenze morali effettivamente patite dal danneggiato. Tuttavia per la liquidazione, anziché ricorrere alle Tabelle milanesi, il Giudicante applicava quelle in uso presso il Tribunale di Roma. A tale proposito, scriveva: «Ferma restando l’adesione al principio fondante di Cass. n. 12408/11 […], ossia essere “l’equità non soltanto regola del caso concreto, ma anche parità di trattamento” e preso atto che la soluzione adottata dalla Cassazione», cioè l’adozione da parte dei giudici di parametri uniformi individuati in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, «come espressamente affermato dalla stessa sentenza, deriva da una “operazione di natura sostanzialmente ricognitiva”, in attesa del consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sul punto, si reputa adeguato a perseguire lo scopo indicato liquidare il danno accertato sulla base delle tabelle elaborate dal Tribunale di Roma, adottate, peraltro, anche da altri Tribunali italiani, trattandosi di parametri desunti dalla media delle pronunce emesse dai giudici del Tribunale con maggior carico di affari e che tratta circa il 20% del contenzioso nazionale in materia di responsabilità civile. Tanto più che le tabelle del Tribunale di Roma meglio consentono di liquidare le singole voci del danno non patrimoniale, mediante una personalizzazione dell’importo da liquidare non predeterminata ed inversamente proporzionale alla gravità della componente biologica del danno (come invece avviene con le tabelle milanesi)».
Si condannava pertanto la convenuta a risarcire l’attore con la complessiva somma di euro 1.350.000,00.
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