CCSENTENZA CASS. CIV. SEZ. III N. 8664 DEL 04/04/2017
La Suprema Corte con la sentenza richiamata ribadisce e rimarca i principi di ordine generale in ordine al riparto dell’onere probatorio tra paziente danneggiato e struttura sanitaria nell’ambito della responsabilità contrattuale.
Con orientamento oramai consolidato (a partire dal basilare arresto di Cass., Sez. U, 11/01/2008, n. 577), il giudice della nomofilachia ha chiarito che in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante, con la conseguenza che qualora all’esito del giudizio permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale tra condotta del medico e danno, questa ricade sul debitore.
Allorquando infatti la responsabilità medica venga invocata a titolo contrattuale, cioè sul presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sanitaria sia intercorso un rapporto contrattuale (o da “contatto sociale”), la distribuzione inter partes del carico probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti ed è dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo: sul danneggiato grava dunque solo l’onere di allegare qualificate inadempienze, astrattamente idonee a porsi come causa o concausa del danno, nella prestazione del medico inserita nella sequenza eziologica da cui è scaturito il lamentato pregiudizio (così Cass. 12/09/2013, n. 20904; Cass. 21/07/2011, n. 15993; Cass. 12/12/2013, n. 27855; Cass. 30/09/2014, n. 20547; Cass. 14/07/2015, n. 14642).
Con specifico riferimento poi ai danni cerebrali da ipossia neonatale, si è condivisibilmente affermato che, in presenza di un’azione o di un’omissione dei sanitari nella fase del travaglio o del parto in ipotesi atte a determinare l’evento, l’esser rimasta ignota la causa del danno non può ridondare a vantaggio della parte obbligata, la quale è anzi tenuta alla prova positiva del fatto idoneo ad escludere l’eziologica derivazione del pregiudizio dalla condotta inadempiente (Cass. 17/02/2011, n. 3847; Cass. 09/06/2011, n. 12686); d’altro canto, il nesso di causalità tra condotta medica e danno è da ritenersi sussistente quando, da un lato, non vi sia certezza che il danno patito dal neonato sia ascrivibile a ragioni naturali o genetiche e, dall’altro, appaia “più probabile che non” che un tempestivo e diverso intervento medico avrebbe evitato il pregiudizio (così Cass. 09/06/2016, n. 11789).
Come ribadito dalla Suprema Corte il principio di diritto che si ricava è che il danneggiato è gravato dell’onere di allegare qualificate inadempienze astrattamente idonee a porsi come causa o concausa del danno mentre la struttura sanitaria è gravata alla prova positiva del fatto idoneo ad escludere l’eziologica derivazione del pregiudizio dalla condotta inadempiente.
Legal Team Sanasanitas
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